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Bee My Job: il modello della buona inclusione. A Roma con l’UNHCR per dialogare con i Ministeri e le realtà impegnate in percorsi virtuosi

Buone pratiche di inclusione sociale e lavorativa che, a partire dai territori, sanno creare rete, proporre un modello alternativo in grado di contrastare il caporalato e lo sfruttamento, e immaginare un futuro dignitoso e di valore per i rifugiati e richiedenti asilo che lavorano nel settore agricolo sul territorio italiano. Si è tenuta venerdì mattina a Roma la conferenza “Rifugiati in agricoltura. Il progetto Bee My Job e altre esperienze contro lo sfruttamento lavorativo in agricoltura”, organizzata da UNHCR – Agenzia ONU per i Rifugiati e da Cambalache, e presentata da Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale.

Un’occasione per incontrare le istituzioni – con i rappresentanti del ministero delle Politiche agricole, forestali e alimentari, Alessandro Apolito, e del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Tatiana Esposito – e diverse realtà che sul territorio si muovono, portando avanti progetti di inclusione. C’era, con Mariarita Peca, anche MEDU – Medici per i Diritti Umani, associazione che quest’anno ha replicato una sperimentazione sulle orme di Bee My Job nella Piana di Gioia Tauro, nell’ambito di Terragiusta, e che il prossimo anno realizzerà un’edizione del progetto di apicoltura sociale ideato da Cambalache in Toscana, a Vicofaro, in provincia di Pistoia.

UN MODELLO DI VALORE. L’evento ha dato modo di raccontare i risultati di cinque anni di vita di Bee My Job (170 rifugiati e richiedenti asilo formati e oltre 100 tirocini attivati), gli ultimi due dei quali hanno goduto del sostegno dell’UNHCR che ha portato ad altrettante grandi novità. Da una parte la scrittura di una Carta etica che, ha spiegato Mara Alacqua, presidente di Cambalache, “chiediamo alle aziende aderenti al progetto di sottoscrivere, per manifestare la piena condivisione dei nostri obiettivi in termini di lotta allo sfruttamento e rispetto della dignità del lavoratore”. Dall’altra la realizzazione di un percorso di capacity building & sharing in sei tappe sul territorio nazionale: incontri con operatori del Terzo settore e di enti impegnati nell’accoglienza, per far conoscere il modello Bee My Job e stimolare repliche in nuovi ambiti e nuovi contesti.

A Roma era presente anche il gruppo di lavoro che – nell’ambito del Bee My Job Contest – ha ideato la proposta più convincente tra le 23 presentate durante i workshop. Si tratta di Zavzarill – Laguna Wellness, un progetto che mira a favorire la crescita economica e il benessere del territorio e delle persone attraverso la valorizzazione, la produzione e la commercializzazione dell’alga salicornia, uno dei prodotti tipici della Puglia. Il percorso, con il sostegno di Cambalache, dovrebbe prendere il via già nei prossimi mesi con la prima formazione.

“I progetti come Bee My Job – ha sottolineato Alessandro Apolito, del ministero delle Politiche agricole, forestali e alimentari – dimostrano che si sta portando avanti un grande lavoro, che a volte fa meno notizia delle tragedie in questo settore. Ciò che non vogliamo è che alcune filiere agricole vengano etichettate come “sporche”, anche perché ci sono tante aziende agricole disposte a stare nelle regole e dobbiamo collaborare per costruire modelli di comunità e società diversi e positivi, modelli che l’agricoltura ha in sé”.

Molto positivo anche il riscontro dell’UNHCR, intervenuto alla conferenza con Massimo Gnone, Federico Tsucalas e Andrea De Bonis. Un lavoro, quello dell’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati, che da alcuni anni sul territorio italiano si è concentrato sul tema del lavoro e dell’inserimento lavorativo e che ha trovato in Bee My Job una delle strade positive da sostenere, seguendo alcuni principi di base, come ha spiegato Gnone: “La necessità di abbinare in maniera stretta le competenze dei rifugiati con i fabbisogni dei datori di lavoro, formare i rifugiati con percorsi brevi e accessibili, dimostrare i vantaggi in termini di business della presenza dei rifugiati nel mondo del lavoro, sensibilizzare sul tema i territori e le comunità, abbinare ai percorsi di formazione lavorativa anche percorsi di orientamento e dare importanza alla costruzione di partenariati strategici che includano soggetti differenti”.

Parole a cui fanno eco quelle di Tatiana Esposito, del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che ha chiuso la mattinata di lavori sottolineando come “l’esperienza di Bee My Job testimonia che quando ci sono i soggetti locali a costruire dei percorsi è più facile che quei percorsi abbiano successo” ed elogiando lo strumento del tirocinio come possibilità di aprire strade di inclusione efficaci, sia in termini professionali che relazionali, creando concreti sbocchi professionali.

L’ACADEMY E I NUOVI PROGETTI. Dopo aver raccontato quanto di buono ha fatto Bee My Job in questi anni, non si poteva non aprire una finestra anche sul futuro, andando a scoprire cosa riserva per il 2020 il progetto di apicoltura sociale. E sono almeno tre le possibilità già concretizzate. In primo luogo la nascita della Bee My Job Academy, presso l’apiario di Alessandria, in collaborazione con Conapi (presente a Roma con il vice presidente Giorgio Baracani), che vedrà confluire rifugiati e richiedenti asilo da diversi luoghi d’Italia per la formazione e che punterà poi all’inserimento lavorativo nei rispettivi luoghi di residenza. Quindi la replica del progetto in Toscana, in collaborazione con MEDU – Medici per i Diritti Umani. Infine, il sostegno ad Api Romane nei primi percorsi di apicoltura urbana a Roma, con l’installazione di un piccolo apiario al parco De Chirico, finanziato dal V Municipio.

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